🔹️🔷️ Il 9 maggio 2021 nella cattedrale di Agrigento veniva beatificato il giudice Rosario Livatino, assassinato perché perseguiva le cosche mafiose impedendone l’attività criminale.

Giovanni Paolo II lo definì “martire della giustizia e indirettamente della fede”, quando da Agrigento il 9 maggio del 1993, aggrappato al Crocifisso, lanciò il suo grido di pastore e profeta, in un contesto dilaniato dalle stragi e dalle faide di mafia e caratterizzato da posizioni ancora troppo timide da parte delle istituzioni, Chiesa compresa. 

 

La storia e il miracolo di Rosario Livatino non rispondevano al cliché del ‘giudice ragazzino‘ che va incontro alla morte senza sapere e capire. 

Livatino affronta il sacrificio supremo nella piena consapevolezza perché erano già chiare le indiscrezioni che circolavano su di lui.

 

Impressiona l’ultima frase, prima del colpo di grazia, guardando in faccia gli assassini che lo avevano inseguito: ‘Piccio’, che cosa vi ho fatto?’.

Li richiama. Aziona l’arma del dialogo. Lascia un quesito che germoglia e lentamente portera’ chi spara a pentirsi.

 

“Giustizia è redimere chi sbaglia e reinserirlo nella società”

Livatino e’ stato un giudice “giusto” in quanto “alla legge bisogna dare necessariamente un’anima", sosteneva.

 

 Spiegando che l’obiettivo della giustizia è redimere chi sbaglia e reinserirlo nella società civile.

Nella sua attività si era occupato di quella che sarebbe esplosa come la ‘Tangentopoli siciliana‘ e aveva colpito duramente la mafia di Porto Empedocle e di Palma di Montechiaro, anche attraverso la confisca dei beni. 

 

Il suo esempio rifulga e si dipani come luce nell'oscurità del male, dell'omertà, di ogni forma di mafia e sopraffazione, ingiustizia personale e sociale, perché ogni compromesso che ammorba la società sia disfatto dalla trasparenza di un uomo giusto oggi salito agli onori dell'altare.

 

Don Angelo